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In vista dell’assemblea annuale dei soci, in cui stasera 11 aprile 2025 si discuterà il futuro dell’asilo, lanciamo uno sguardo retrospettivo. Perchè è importante partecipare alle scelte dell’oggi e farlo con consapevolezza e giudizio
L’asilo viene fondato nel 1897 dal Comune di Bedero e gestito attraverso una commissione comunale denominata “Congregazione di carità“, che si occupa delle spese sociali.
I bambini sono ospitati in un’aula allestita al piano terra del nuovo palazzo comunale. La classe è condotta da una maestra stipendiata. Questo assetto dura fino al 1908, quando vengono reclutate e retribuite le suore dal benefattore Zamaroni, un industriale locale che diventerà presto anche sindaco del paese.
Negli anni a cavallo della prima guerra mondiale, il benefattore e sindaco Zamaroni in collaborazione con il benefattore e presidente della Congregazione di carità Martinoli costruiscono a loro spese l’attuale sede. Nel 1923, morto il Martinoli per malattia, la vedova e lo Zamaroni donano lo stabile al Comune.
Lo Zamaroni, in veste di benefattore, dona.
Lo stesso Zamaroni, in veste di sindaco, accetta.
Da sindaco a podestà, è sempre lo Zamaroni – a capo del paese per 25 anni, dieci dei quali per nomina prefettizia, sotto il regime fascista – che guida la trasformazione dell‘asilo in ente morale, nel 1930. L’edificio diventa patrimonio dell’ente. Lo statuto, approvato il 30 giugno 2029, rimane in vigore a lungo. Presumibilmente ne è stato approvato uno successivo, negli anni '80. Quello attualmente in vigore è del 2004.
Da 96 anni a questa parte gli statuti – o quantomeno il primo e l’ultimo, che ci sono noti - prevedono che i membri del consiglio di amministrazione dell’asilo siano cinque, di cui tre di nomina comunale. A riprova del fatto che il Comune di Bedero ha sempre avuto parte significativa nella gestione dell’asilo, che di fatto offre al paese da più di un secolo un servizio di grande rilevanza sociale.
Data al 5 marzo 2021, e volge a scadenza tra poco meno di un anno, l’ultima convenzione tra Comune e asilo, nella quale si aggiunge ai cinque componenti del consiglio di amministrazione previsti dallo statuto, un sesto nominato direttamente dal sindaco. Il consiglio attuale, dimissionario, è per due terzi di nomina comunale.
Può darsi che vi sia sproporzione nella rappresentanza e che sia nel frattempo maturata l’esigenza di ridimensionare le varie componenti nel consiglio di amministrazione. Ma credo che sia nell’interesse del paese che il Comune continui ad esserne coinvolto e non abbandoni l’asilo a una gestione privata.
Penso che il Comune, che è stato protagonista della storia dell’asilo, debba continuare a fare la sua parte, almeno finché norma lo consenta.
Le amministrazioni comunali si susseguono, l’asilo resta da più di cent’anni un bene comune.
11 aprile 2025, Laura V.
Jose e Keyla, fresche di cittadinanza: “Ora sogno un viaggio negli Stati Uniti”
Al primo gennaio 2024 gli stranieri residenti a Bedero erano quarantaquattro. Come i vedovi, a essere pignoli. Messi in fila per sei formerebbero sette colonne, col resto di due.
Guardiamole, queste due persone fuori dalle file e dalle colonne, e diamo loro un nome: Joselyn Pilar Llacua Ramos e Keyla Pilar Llacua Ramos.
Come si può intuire sono sorelle, anche se Pilar non è un cognome ma un secondo nome assegnato a entrambe. Potenza della Nostra Signora del Pilar, venerata in tanti Paesi ispanici, tra cui il Perù, da dove vengono Jose e Keyla.
Vengono, ma sarebbe meglio dire vennero, una vita fa.
È il 2010, l'anno dei Mondiali in Sudafrica, vuvuzela e Waka-Waka. Jose ha dieci anni, Keyla dodici. La mamma è già in Italia da un paio d'anni, a lavorare a Gallarate.
Partono e arrivano a Bedero, balcone della Valcuvia, ai piedi del monte Scerrè o Scerè, comunità montana del Piambello.
Il padre diventa badante di don Domenico e factotum di don Stefano, prima di essere assunto a tempo indeterminato in una ditta della zona. La famiglia, da subito inserita nella vita della parrocchia, viene ben accolta. Le ragazze studiano, poi studiano ancora e intanto lavorano.
Resteranno straniere per quattordici anni, perché solo dopo dieci avranno raggiunto i requisiti per richiedere la cittadinanza.
Da qua parte il racconto di Joselyn, davanti a un caffè e a una fetta di dolce alla cannella. “Abbiamo presentato la domanda nel giugno del 2021 - spiega -. Ci avevano detto che sarebbero stati necessari due anni perché la pratica andasse in porto. Poi, però, ci è arrivata una notifica, la data era stata prorogata di un anno”.
L'anno passa e non vola una mosca. Bussano al CAF delle ACLI, che indaga e riferisce: c'è stato un problema ma non si sa quale sia. Non resta che controllare, ogni tanto, una pagina del ministero dell'Interno che dà conto dello stato di avanzamento della pratica. “Fatelo ogni due mesi”, raccomandano, “altrimenti diventa un'ossessione”.
Sono mesi di sospensione. La pratica era stata aperta poco dopo il raggiungimento dei requisiti. Non è un iter semplice: bisogna rintracciare i certificati nel Paese d'origine e produrre traduzioni giurate. Loro riescono con costi limitati grazie a un parente che le aiuta. Hanno anche qualche agevolazione: sono arrivate da piccole e quindi non devono recuperare la fedina penale. Hanno completato due cicli di studi e non devono sostenere l'esame di italiano. Pagano in posta, poco meno di 300 euro. Poi aspettano.
La sospensione finisce nel novembre 2024. Arriva prima la comunicazione del CAF, poi il giorno in cui entrambe escono dalla schiera dei quarantaquattro stranieri e entrano nel gruppone dei circa seicento italiani.
Jose lo racconta con semplicità. “Siamo andati in un Comune a fare il giuramento. Abbiamo letto una frase davanti al sindaco e poi basta. Ci ha letto i documenti, abbiamo controllato tutti i dati e dopo siamo tornati in un secondo momento a fare la carta d'identità”.
Cos'è cambiato da quel giorno? “Sinceramente non sento molto questo cambio, perché alla fine tutto rimane a livello di burocratico”, dice Jose.
Il senso del cambiamento lo avverte, però, guardando sia indietro che avanti.
Gli anni passati sono quelli in cui è stata cittadina solo straniera. Quello che più pesava, racconta, erano i limiti del permesso di soggiorno. Le due sorelle, arrivate da bambine, dovevano rinnovarlo ogni cinque anni e non ogni due. Una procedura “tediosa” la definisce Jose. Bisogna portare i documenti e le buste paga e fare la fila in questura. Rispetto a quelle infinite di Milano, però, le code a Luino sono piccole e gestibili.
Il permesso di soggiorno andava poi portato sempre appresso. “Mio papà ci diceva che se lo avessimo perso saremmo dovuti andare a richiederlo e sarebbe stata una procedura lunga. Quindi avevamo sempre una fotocopia con noi”. Una volta si dimenticano sia l'originale che la fotocopia e vengono fermati dalla polizia in auto. La preoccupazione si scioglie quando se la cavano con un ammonimento.
Altro limite: l'espatrio. Il passaporto peruviano non è “forte” come quello italiano. C'erano limiti ai Paesi visitabili senza visto. Per questo, guardando avanti, il primo desiderio che viene espresso è più poesia che prosa: “Mi piacerebbe viaggiare, andare negli Stati Uniti”, dice con un sorriso che per una volta supera la riservatezza.
Poi c'è la prosa. La cittadinanza apre le porte a lavori pubblici, fatto tutt'altro che marginale per lei, che sta per concludere la facoltà di infermieristica all'università. La sorella, ci spiega, lavora già in una struttura privata.
In una via di mezzo tra la poesia e la prosa c'è la politica. Jose e i suoi familiari hanno sempre seguito quella peruviana, andando a votare al Forum d'Assago alle elezioni politiche. Ora potrà seguire anche quella italiana. “Prima sentivo quello che si diceva sui giornali ma non avevo la necessità di informarmi più approfonditamente, perché tanto, mi dicevo, non devo votare. Ora sento di più la necessità e la responsabilità di informarmi, per le elezioni comunali e nazionali”.
La pratica, per Jose e Keyla, si è sbloccata senza un avvocato, che invece a volte serve. L'iter è stato di tre anni e mezzo. Per come vanno le cose in Italia, dove la proroga di un anno dopo il termine di ventiquattro mesi è la norma, non è un tempo scandaloso. Ma che l'iter non sia una passeggiata lo si capisce dal fatto che i due genitori non hanno ancora presentato la domanda. Troppi alti i costi, perché loro dovrebbero probabilmente tornare in Perù per recuperare molti più documenti.
Così quella della famiglia Llacua Ramos rimane una bella storia di integrazione in una comunità che non l’ha mai tenuta ai margini. Ma è anche una storia conclusa a metà e che lascia aperto almeno un interrogativo: perché sono stati necessari quattordici anni per far passare l'ansia di perdere il permesso di soggiorno a due ragazze arrivate da bambine e che avevano già concluso le scuole medie e le superiori?
28 marzo 2025, Fabrizio P.
Il mio amico Victor è diventato cittadino italiano.
“Cosa cambia?”, mi sono chiesta?
“Niente: cosa dice di una persona, in più o in meno rispetto a quel che già sappiamo, ciò che c’è scritto sul suo documento di identità?”
Ma la sua emozione, che ben traspare dalla sua testimonianza, ha scosso il mio tiepidissimo senso patriottico che mi ha sempre portata a vivere la mia cittadinanza né come un valore né come un disvalore: come una semplice condizione. Mi rendo improvvisamente conto che il mio sdegno per i disastri prodotti dai nazionalismi e dall’ossessione di stabilire confini per poter affermare con forza chi ci sta dentro e chi fuori mi ha fatto forse a tratti dimenticare che la cittadinanza, e soprattutto una cittadinanza come la mia, è, innanzitutto, un privilegio. Questa consapevolezza mi produce quasi fastidio, perché i privilegi non mi sono mai piaciuti, ma riconoscerli è il primo passo per poterli, almeno in parte, redistribuire.
La cittadinanza è la fonte dalla quale discende, oltre che la responsabilità verso certi doveri, la possibilità di esercitare molti dei miei diritti.
Vico è arrivato in Italia per amore e per proseguire i suoi studi in medicina. Ora è medico e presidente della pro loco del paese in cui vive; si prende cura in molte forme del territorio che lo ha accolto e, soprattutto, delle persone che lo abitano.
Contribuisce alla vita della sua comunità molto di più della stragrande maggioranza di coloro che, come anche me, la cittadinanza l’hanno ereditata senza meriti.
In un tempo in cui buona parte del nostro paese si esprime secondo forme di cittadinanza minima, tramite una fruizione quasi consumistica dei diritti e una crescente elusione dei corrispondenti doveri, Vico è stato in questi anni un cittadino attivo nel senso più politico del termine. Ora lo è anche giuridicamente.
Cosa cambia? Tutto, perché la titolarità dei diritti attribuiti dalla cittadinanza e la possibilità di esercitarli sono tra le più complete forme di riconoscimento della dignità civica e politica.
Grazie Vico, per ricordarci che i diritti non vanno mai dati per scontati, che vanno riconosciuti, difesi e onorati.
Sono orgogliosa di essere tua concittadina.
(A proposito, l’8 e il 9 giugno ci sarà il referendum sulla cittadinanza. Andiamo a votare!)
22 marzo 2025, Chiara D.
Il mio viaggio verso la cittadinanza italiana
Ci sono momenti che segnano una svolta nella vita di una persona, e per me uno di questi è stato il giorno in cui ho ricevuto la mail che annunciava la concessione della cittadinanza italiana. Era mattina presto, alle 5:30, quando ho letto quel messaggio. Il cuore ha iniziato a battere forte, un misto di emozione e incredulità mi ha attraversato, ho urlato di gioia e così ho svegliato Eva. Ci siamo abbracciati stretti, senza parlare per qualche secondo, lasciando
che la felicità ci travolgesse. Le mani mi tremavano mentre rileggevo la mail più volte, quasi per assicurarmi che fosse reale. Mi sono fermato un attimo, ho chiuso gli occhi e ho respirato profondamente, lasciando che quella notizia si sedimentasse dentro di me. Quel riconoscimento aveva un significato profondo: ufficializzava un'appartenenza che già sentivo dentro di me da tempo.
Sono in Italia da quasi otto anni, e da subito mi sono impegnato per conoscerne la cultura, la lingua e le tradizioni. Ho vissuto questo percorso come una scoperta, quasi come un innamoramento. Non è stato sempre facile: arrivare in un nuovo paese con una laurea e riuscire a inserirsi nel mondo accademico è una sfida che non si può dare per scontata.
Devo moltissimo a Eva, mia moglie, e alla sua famiglia, che mi hanno accolto con amore e fiducia, trattandomi fin dal primo giorno come uno di loro. Il loro sostegno incondizionato è stato fondamentale per il mio percorso, dandomi la sicurezza e la serenità necessarie per affrontare ogni sfida senza sentirmi mai solo. Ma il mio cammino non sarebbe stato lo stesso senza il supporto di altre persone che hanno creduto in me, come Adriano, che mi ha aiutato nei primi passi verso il riconoscimento del mio titolo di studio.
Uno dei momenti più importanti della mia vita è stato il giorno del mio matrimonio con Eva. Ricordo ancora l’atmosfera di quella giornata, il calore delle persone intorno a noi e la gioia che si respirava nell’aria. Durante la cerimonia, mentre pronunciavo le promesse, ho sentito dentro di me che non stavo solo sposando la donna che amavo, ma anche il suo paese, la sua cultura, la sua famiglia. Uno dei momenti più intensi è stato quando mia madre ha iniziato a piangere: non erano solo lacrime di felicità, ma anche la consapevolezza che suo figlio non sarebbe più tornato a vivere in Bolivia. È stato un giorno di amore e di trasformazione, in cui ho capito definitivamente che l’Italia sarebbe stata per sempre la mia casa.
Dal punto di vista professionale, il mio percorso è stato segnato da due grandi tappe: la laurea in medicina, prima in Bolivia e poi in Italia, e la specializzazione. Entrare nel mondo del lavoro durante la pandemia di Covid-19 è stata una prova dura, ma mi ha dato la fiducia necessaria nelle mie capacità. In questo percorso, un ruolo fondamentale lo ha avuto il Dr. Pizzi, che per me è stato un maestro. È grazie a lui che ho scoperto il mestiere del medico di famiglia come lo immaginavo da bambino, quando sognavo di fare il medico. È stato il mio tutor, e poi ha avuto la fiducia di affidarmi il suo studio e i suoi assistiti, dimostrando una stima profonda verso uno straniero, un gesto che non considero affatto scontato e per cui sarò sempre grato.
Ma la mia crescita in Italia non è stata solo professionale. Nel 2023, insieme ad altri membri della comunità, abbiamo fondato la Pro Loco di Bedero Valcuvia, un progetto che ha rafforzato il mio legame con il paese. La nostra prima iniziativa è stata il concerto di musica in corte, un evento che ha visto la partecipazione di persone di tutte le età, unite dalla passione per la musica e dal desiderio di vivere un momento di aggregazione autentica. È stato incredibile vedere la corte dei Tavi animarsi con la musica dal vivo, le persone sedute fianco a fianco a godersi l'atmosfera, i volontari impegnati nell'organizzazione e i musicisti che hanno regalato a tutti un'esperienza emozionante. Questi momenti hanno dimostrato quanto sia importante avere un punto di riferimento per la comunità, un luogo di incontro e di crescita collettiva. Vedere giovani e meno giovani unire le forze per un obiettivo comune è stata una delle esperienze più gratificanti. Quel momento ha reso tangibile l'importanza del nostro impegno e della collaborazione di tutti. In quel momento ho capito che il nostro impegno stava facendo la differenza, che la Pro Loco non era solo un’idea, ma un punto di riferimento per la comunità. La Pro Loco non è solo un'associazione, ma uno spazio di incontro, un luogo dove chiunque può sentirsi parte di una comunità. Per me, che non frequento la chiesa, mancava un punto di riferimento sociale di questo tipo, perché credo che il senso di appartenenza sia fondamentale per il benessere delle persone, anche se spesso viene sottovalutato.
Bedero Valcuvia è stata la mia casa fin dal primo giorno, prima ancora che potessi chiamarla ufficialmente tale. Ogni volta che tornavamo da Milano, senza rendermene conto, dicevo sempre "siamo arrivati a casa". E lo sentivo davvero: le strade, le persone, l’atmosfera di questo paese mi hanno accolto e dato un senso di appartenenza che va oltre i documenti.
Oggi, con la cittadinanza italiana, non cambia il mio impegno verso la comunità e il mio lavoro, ma sento di poter restituire ancora di più a questo luogo che mi ha dato tanto. Ora posso finalmente partecipare anche alla vita politica del paese, esprimere il mio voto e contribuire in modo più diretto al futuro della società in cui vivo. Per me, questo è un privilegio immenso, soprattutto vedendo quanti giovani italiani, invece, si distaccano dalla politica e rinunciano a un diritto così prezioso. Per me, votare non è solo un dovere civico: è un atto di riconoscenza verso il paese che mi ha accolto.
Guardando al futuro, il mio augurio per Bedero Valcuvia è quello di una comunità sempre più unita, dove le persone possano confrontarsi, crescere insieme e lasciarsi alle spalle vecchie divisioni. Credo che questo possa avvenire attraverso la promozione di momenti di incontro, come dibattiti aperti tra cittadini, laboratori intergenerazionali e progetti condivisi per
valorizzare il territorio. La collaborazione tra le diverse realtà associative e il coinvolgimento attivo di giovani e anziani possono creare un ambiente più inclusivo e solidale. Eventi culturali, iniziative di volontariato e progetti educativi possono essere strumenti fondamentali per costruire una comunità più forte e coesa, dove ogni cittadino possa sentirsi valorizzato e parte di un progetto comune. Una comunità inclusiva, rispettosa delle diversità, che valorizzi chiunque voglia contribuire.
A chi, come me, sta cercando di costruire un futuro in un nuovo paese, vorrei dire: vivete con curiosità, abbiate il coraggio di mettervi in discussione. Solo così si può veramente crescere, aprirsi a nuove esperienze e sentirsi parte di qualcosa di più grande. Perché il mio viaggio, alla fine, è stato proprio questo: un cammino di crescita.
21 marzo 2025, Victor L. E.
Fino al 1919 le donne non avevano la capacità giuridica, non potevano vendere o comprare casa senza la firma del marito o del padre.
Fino al 1946 le donne non potevano votare, né tantomeno candidarsi.
Nel 1958 furono chiuse le case di tolleranza e perseguito il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione. Fino a quel momento, cioè all’approvazione della legge Merlin, tutto ciò era legale e socialmente accettato.
Ancora nel 1975 picchiare la moglie non era reato: la legge riconosceva la potestà maritale e vi erano pene miti per il cosiddetto “delitto d’onore”.
Nelle famiglie, la chiave della soggezione femminile era la dipendenza economica dall’uomo. Talvolta lo è ancora.
Coppie di fatto
Bedero, fine ‘800: Teresa venne abbandonata dal marito, che salpò per le Americhe con un’altra. Ma non si diede per vinta. Si innamorò di Gabriele e cercò di rifarsi una vita. Subì la riprovazione e l’isolamento sociale: lei fu definita concubina, i figli della coppia bollati come illegittimi.
Dai registri parrocchiali di inizio ‘900
Ammettiamolo, dà un certo sollievo constatare che la scelta di Teresa oggi verrebbe considerata normale, o quantomeno accettata con meno ostilità.
Femminicidi
Oggi li chiamiamo femminicidi, un tempo si chiamavano delitti d’onore.
A Bedero negli anni ’30 si consumò un omicidio: una donna che veniva dalla val Canobbina, fuggita dalla violenza del marito, riparò a Bedero, dove stavano due delle sue sorelle, una sposata in paese e l’altra impiegata come governante. Fu raggiunta e pagò con la vita la sua disobbedienza, di lei non si parlò più.
Oggi sull’argomento c’è una sensibilità diffusa e una maggior vigilanza sociale.
Violenza domestica
Già l’anno scorso, in occasione dell’8 marzo, raccogliemmo la coraggiosa testimonianza di una donna che, avendo subito a lungo violenza domestica, trovò il coraggio di opporsi fino a chiedere il divorzio, all’indomani dell’approvazione della legge, negli anni ’70. Prima donna divorziata del paese, visse sulla sua pelle lo stigma sociale e il biasimo, ma mai si pentì della sua scelta.
Purtroppo non è ancora sanata la piaga della violenza domestica, che spesso si consuma nascostamente, sotto le apparenze di vite normali, segnate dal ricatto della dipendenza economica delle donne.
Scolarizzazione
Agli inizi del ‘900 la scuola comunale conduceva entrambi i sessi alla licenza elementare.
A cavallo tra Ottocento e Novecento
diplomi uguali per una femmina e un maschio
Negli anni ’30 la situazione era peggiorata. Maschi e femmine frequentavano in paese solo le prime tre classi. Poi i maschi che lo desideravano potevano continuare la scuola a Ganna fino alla licenza, avanti e indietro a piedi. Alle femmine non era permesso, poiché non era decoroso allontanarsi dal paese.
Nel dopoguerra si stabilì l’obbligo scolastico, e in qualche modo, nella grande pluriclasse al primo piano del palazzo comunale di Bedero, maschi e femmine compirono tutti il ciclo dell’obbligo.
Tuttavia fino agli anni ’70 i bambini e le bambine, pur frequentando la mattina la stessa classe, fuori da scuola non giocavano assieme. L’oratorio parrocchiale accettava solo i maschi, mentre per le bambine si apriva una volta la settimana, la domenica pomeriggio dopo il vespro, l’oratorio femminile dalle suore, all’asilo. In famiglia i compiti erano separati.
Oggi l’accesso all’istruzione, anche ai più alti gradi, non è ostacolato dal sesso. Anzi, spesso le femmine sono le più motivate.
L’oratorio accoglie tutti senza distinzione, maschi e femmine.
Doppia morale
Femmine illibate fino al matrimonio, maschi iniziati precocemente al sesso attraverso prestazioni a pagamento. Sono le fonti letterarie ad informarci in merito, poiché in paese di sesso non si parlava. O meglio: le femmine per bene non ne parlavano, mentre la dissertazione sui postriboli, aperti legalmente fino al 1958, fu ampiamente accettata nell’universo maschile. Così come la loro frequentazione.
Nel dopoguerra, il ritorno in paese dei ragazzi dalla guerra e il desiderio di superare i traumi e le sofferenze degli anni precedenti generò un forte impulso vitale, che prese piede anche a Bedero. Spirò nelle giovani donne un desiderio di maggiore libertà.
Anni '40
Maria, Pina, Natalina, Rina
Pare di indovinarlo nelle foto delle belle ragazze bederesi degli anni ’40, che si concedevano di nascosto dalle madri qualche furtiva incursione sulla pista da ballo del Crott.
Il confronto con l’oggi ciascuno lo faccia da sé.
La pista da ballo al Crott
Amministratrici
Seppure avendone diritto fin dal 1946, fino agli anni novanta non ci furono donne nel consiglio comunale. Nel 1990 si candidarono due pioniere, Fernanda Menotti e Danila Pintus. Bisogna arrivare al 1995 per avere tre elette. Di mezzo c’è una sentenza della Corte Costituzionale sulle quote rosa nelle liste elettorali, che aveva sollevato il problema della rappresentanza femminile.
Nel 1995 tre donne entrarono in consiglio: Gianna Elvira Martinoli, Giuseppina Rossotti e Maria Grazia Borsotti. Gianna Elvira ha continuato il suo impegno fino ad oggi, con determinazione e fierezza.
Opuscolo elettorale del 1995
Nel 2009 si presentò per la prima volta una donna, Rossana Sportelli, come candidata per la carica di sindaco. Nei suoi quindici anni di impegno in Comune, Rossana diventò la prima vicesindaca di Bedero. L’anno scorso, presentandosi di nuovo come candidata sindaco, ha perso la contesa per un voto: 198 voti contro 199. Attualmente in carica c’è un’altra vicesindaca, Veronica Marchiori.
Ragazze oggi
Nel corso della storia il ruolo della donna è cambiato radicalmente.
Seppur a volte oscurata e nascosta, la presenza della donna è stata sempre decisiva. Dalle società matriarcali del passato, dove era il centro e la generatrice della vita, passando per la società greca, che la vedeva invece subordinata all’uomo, fino ad oggi: libera, forte e indipendente.
Essere donna è un dono, possiamo dimostrare quanto siamo importanti e quanto valiamo al pari degli altri, in ambito scolastico e lavorativo, grazie a tutte quelle donne che nel passato hanno lottato per arrivare a queste condizioni.
Oramai, in moltissimi paesi, le differenze sul posto di lavoro sono veramente minime, le donne occupano ruoli importanti, anche dirigenziali e hanno la possibilità di arrivarci grazie all’istruzione che oggi gli viene garantita. Nel mondo scolastico non ci sono distinzioni di nessun tipo, le donne sono apprezzate e possono rendersi libere grazie alla cultura. Questa consapevolezza che poi ottengono grazie alla scuola, possono utilizzarla per esprimere opinioni politiche, hanno il diritto di voto e partecipano quindi alla vita pubblica in tutti i suoi aspetti, affermandosi come potenti in moltissimi campi del sapere.
Tutto questo è meraviglioso, straordinario e impensabile fino a pochi anni fa, ma purtroppo non è sempre così. La donna avrà anche acquisito un posto nella società moderna ma ancora è schiacciata dal peso di pregiudizi e formae mentis che sono tutt’ora presenti.
Nel mondo si stima che 736 milioni di donne hanno subito violenze sessuali o fisiche; una su tre. Il femminicidio continua ad avvenire e molti uomini sono convinti ancora che la donna gli appartenga come se fosse un oggetto. Ancora oggi esistono le spose bambine, obbligate a rapporti con uomini molto più grandi di loro e private della loro libertà di gioco, di istruzione, di amore e di felicità. In alcuni paesi donne adulte non possono uscire di casa senza essere accompagnate da un uomo o senza essere completamente coperte. Non possono parlare senza il permesso o avere un'istruzione.
Il problema nel mondo quindi permane: a volte non ci si pensa, non si guarda fuori dal nostro piccolo e non ci si interessa perché non ci riguarda, ma questo non vuol dire che non esista.
I pareri sul privilegio di essere donna sono ancora contrastanti, sicuramente i passi sono stati veramente tanti, ma non si può ancora dire che la parità sia a 360 gradi. Non tutte si sentono sicure a camminare di notte in una strada isolata e non tutte si sentono completamente libere di indossare quello che gli pare, per paura di essere palpeggiate senza il loro consenso. Per questo è necessario lottare e cercare di creare reciproco rispetto, che parta dalle piccole cose fino ad arrivare a temi più importanti, come la violazione di alcuni diritti.
7 marzo 2025, inizia Laura V. e conclude Nina P. M., con l'aiuto di tante amiche
Sabato 25 gennaio 2025, alle 10, presso il comune di Bedero, si incontrano i sindaci di Bedero e Rancio, con esponenti della protezione civile di Rancio e della Pro loco di Bedero, per discutere della rimozione dei rifiuti sulla strada per Brinzio, vicino alla cappelletta di san Francesco (vedi i riferimenti nell'articolo)
Dopo questo servizio di Striscia la notizia, uscito nel mese di novembre, sulla chat della nostra Pro loco si è aperto un piccolo ma interessante dibattito.
G: Ma secondo voi possiamo fare qualcosa in merito? Magari iniziando a parlarne insieme e vedere se è possibile intraprendere qualche iniziativa? Avevo fatto circa due mesi fa una segnalazione ai carabinieri, ma evidentemente non basta per contrastare il fenomeno.
N: Io ho visto quelli della DIGOS, ci hanno detto che dobbiamo segnalare targhe, perché senza non possono fare nulla. Comunque loro sanno tutti i movimenti che ci sono e conoscono anche i personaggi che ruotano attorno. Non capisco come mai non facciano piazza pulita.
C: tutto vero, ma ricordo anche che, sconsolato, ci ha detto che anche di fronte ad arresti eseguiti, gli spacciatori vengono rimessi in libertà in tempo zero.
A: Innanzitutto si può andare a fare una giornata ecologica e tirare su tutto lo schifo.
L: Io credo che, da cittadini qualunque, la cosa migliore è presidiare. Organizzare iniziative, passare e ripassare, dare la sensazione che i boschi siano territorio frequentato e curato.
C: A Mondonico lo fanno da anni, vanno a ripulire i bivacchi. Ma gli spacciatori tornano comunque. Però dargli fastidio è sempre consigliabile.
M: Credo che per i cittadini comuni sia impensabile contrastare un fenomeno del genere, espone a rischi enormi. Sono le istituzioni a doversi mobilitare in modo deciso, ma purtroppo già le forze dell'ordine si trovano in difficoltà. Non possiamo essere noi a risolvere la situazione, con tutti i rischi annessi.
G: Io invece credo sia necessario presidiare, insieme. Far capire che il territorio non è abbandonato, non è in mano loro in esclusiva. I rischi si corrono se si è soli. Non credo abbiano interesse a provocare incidenti seri, ne andrebbe del loro giro di affari.
M: C'è da rendersi conto che si parla di gente senza scrupoli a cui interessa solo fare soldi, il loro giro di affari è compromesso anche solo dalla tua potenziale presenza, che può disturbare il loro giro.
C: Personalmente i nostri boschi li vivo e li “presidio”, e più volte mi sono ritrovata faccia a faccia con questi ragazzini (credetemi, sono ragazzini). Senza paura e senza vergogna. Più volte ho assistito a scambio merce e a quella processione di auto che si vede nel filmato. Ma forse la presenza di una singola persona è totalmente insignificante. Forse vedere gruppi che presidiano dissuaderebbe, almeno i consumatori.
M: Mi piace molto il vostro istinto di protezione e di tutela dei nostri territori, ma la realtà vi dice che questo fenomeno è in corso da tanto, troppo tempo e nonostante vari tentativi di ripulire le varie zone (carabinieri cacciatori, esercito...), la situazione non è cambiata. Non ho la soluzione in tasca. Come a tutti, mi piacerebbe si arrivasse a un punto di svolta, ma non credo si possa fare affidamento sui cittadini in questo.
C: In realtà noi cittadini non abbiamo mai fatto nulla. Un generale dell’esercito mi ha detto un giorno: “disturbateli”, “occupate voi i loro spazi”. Magari si sposterebbero solo, ma a furia di spostarsi…
N: Anche io mi ritrovo in quello che dice M e onestamente mi fa paura il fatto che siano senza scrupoli. Sparare contro le persone, anche senza volerle intenzionalmente colpire, ma solo spaventare, mi sembra davvero assurdo e pericoloso. Io sarò codarda ma ho paura. L'altro giorno ero a funghi con mio papà e devo ammettere non ero serena. Sarò esagerata? Forse sì. È triste pensare che i nostri boschi siano occupati anche da loro.
C: Sparano, è vero, ma sparano in alto per segnalazioni. Come dice G, non è nei loro interessi. Per spaccio escono dopo 24 ore, per aggressione a mano armata non credo. E comunque non poter girare sereni nei nostri boschi è già una sconfitta.
R: Questa situazione esiste nelle nostre zone da almeno dieci anni. Ci sono già state riunioni tra istituzioni, prefettura, forse dell'ordine. La soluzione non è facile, il problema esiste in tutta Italia, come ben sapete. Secondo l'informatore del servizio, che io conosco bene, che a sua volta sta segnalando da anni alle forze dell'ordine e alle istituzioni l'aumento del degrado per spaccio, la "pulizia" ambientale deve essere effettuata da persone addestrate con tecniche militari. In passato è successo che ci fossero operazioni simili, ma la situazione si è ripresentata dopo poco tempo, perché la manovalanza di nordafricani per lo spaccio è impressionante. La vera soluzione definitiva è colpire i pesci grossi al vertice.
G: Ma credo che nessuno di noi abbia in mente di costituire un gruppo paramilitare che si sostituisca alle forze dell'ordine. Credo che da questo al non fare nulla ci stiano nel mezzo delle possibilità. E mi piacerebbe discuterne insieme.
R: Prendere coscienza della situazione e discuterne assieme è sempre una cosa positiva.
S: Io sul Rancio, dove è girato il servizio nonostante dicano Mondonico, ho più volte visto i cacciatori dei carabinieri (baschi rossi) nei boschi. Gli esiti però sono quelli che vediamo tutti. Purtroppo.
M: E mi dispiace ammetterlo, ma è giusto così. Io cittadino non sarei proprio sereno nell'andare per boschi a fare ostruzionismo a ragazzini armati, con le tasche piene di droga e soldi. Credo che siano sufficienti questi dettagli per considerarli una mina vagante. Con questo non voglio sicuramente dire che non si possa trovare un modo, anche per i cittadini, di contrastare il fenomeno.
G: Io veramente nei boschi ci vado da una vita, a funghi o solo per camminare e continuerò ad andarci. Se qualche volta si potrà fare in compagnia sarò contento.
M: Be‘, pure io. In questi boschi ci sono cresciuto e di certo non li abbandono, ma non mi pare sia questo il punto.
I punti forse li abbiamo riassunti in questo breve dibattito.
C’è un problema, non nuovo ma abbastanza recente, di spaccio nei nostri boschi, con relativo corredo di insicurezza e degrado.
Le forze dell’ordine controllano, ma non sono in grado di estirpare alla radice il fenomeno.
Non sta certo a noi cittadini affiancarci a loro, invadendo ambiti di loro competenza.
Ci viene però anche chiesto, dalle forze dell’ordine stesse, di non rintanarci nelle nostre case, consapevoli che, più un luogo è curato e vissuto dalla sua popolazione, meno è terreno fertile per l’attecchimento dell’illegalità.
E questo è anche il parere indipendente di alcuni di noi emerso nella discussione.
Prendendo spunto da tutto questo, per monitorare la situazione, durante il mese di dicembre mi sono incamminato, nel raggio di pochi chilometri, lungo le strade che da Bedero portano rispettivamente verso Mondonico, Brinzio, Rancio. Con qualche interessante scoperta.
Lungo la strada per Mondonico, poco dopo i primi tornanti, mi sono imbattuto nei resti di ben tre bivacchi dei corrieri della droga. C’erano teloni impermeabili, un materasso gonfiabile, una sdraio, qualche indumento, rotoli di film plastico per confezionare le dosi, resti di confezioni di cibo, decine e decine di bottiglie di birra, acqua ma anche spumante e superalcolici, carta stagnola, scatolette, qualche piatto e bacinella in metallo. I bivacchi erano in chiaro stato di abbandono, nessun rifiuto appariva recente. Con l’aiuto di mia moglie, di Claudia M. e di alcuni consiglieri comunali, i rifiuti sono stati portati a bordo strada e successivamente caricati sul furgoncino del comune di Bedero e portati a valle.
Lungo la strada per Brinzio, prima della cappelletta del ciclista, in territorio comunale di Rancio, mi sono invece imbattuto in una consistente discarica abusiva di materiali vari, frutto forse di qualche attività di sgombero. Molti sacchi ancora chiusi sono rotolati per un centinaio di metri nel bosco in forte pendenza. Il grosso giace a pochi metri dal bordo strada.
Anche scendendo verso Rancio vi sono molti rifiuti a bordo strada, una piccola discarica nel bosco poco dopo il bivio Brinzio-Rancio e, risalendo verso Bedero, alcuni sacconi gettati nel bosco prima della fabbrica Chinetti.
C’è quindi un problema di spaccio di droga, ma anche uno di abbandono illecito di rifiuti, a volte collegato all’attività di spaccio a volte, forse la maggioranza, del tutto indipendente da essa.
Dopo aver interpellato l’addetto di Polizia Locale del Parco Campo dei Fiori e diffuso le foto dei vari ritrovamenti sulla chat della proloco qualcosa si sta muovendo grazie all’interessamento del nostro consigliere comunale Roberto D. Z.
Sabato 25 gennaio 2025, presso il comune di Bedero, si dovrebbero trovare insieme i sindaci di Bedero e Rancio, con esponenti della protezione civile di Rancio e della Pro loco di Bedero, per discutere i problemi in oggetto, in primis la rimozione dei rifiuti.
La mia speranza è che non sia un evento estemporaneo, ma l’inizio di una collaborazione duratura tra comuni e associazioni delle nostre valli che vada nell’ottica di quanto emerso nella nostra chat e auspicato anche dalle forze dell’ordine: curare il nostro territorio, ripulirlo dai rifiuti, riaprire vecchi sentieri, rendendoli possibili mete di gite turistiche famigliari. Abitarlo, viverlo il più possibile.
Sono queste le medesime considerazioni emerse proprio in questi giorni sull’articolo del Corriere della Sera firmato da Andrea Camurani a titolo “La richiesta dei sindaci: «zone rosse» nei boschi dello spaccio”, ripreso successivamente da Luino notizie.
In esso si legge che Federico Raos e Marco Galbiati, rispettivamente alla guida delle amministrazioni di Orino (850 residenti) e Castello Cabiaglio (540), hanno inviato una lettera al prefetto di Varese Rosario Pasquariello con oggetto «iniziative di prevenzione e sicurezza urbana», chiedendo l’istituzione di alcune «zone rosse» nei pressi di aree boschive dove è acclarata la presenza di fenomeni di spaccio.
I sindaci affermano che «Individuare alcune zone boschive quali zone rosse, foss’anche solo un fatto simbolico, può essere utile per porre le basi di azioni strutturate e coordinate di recupero alla comunità che però travalicano, per la loro complessità economica ed organizzativa, il raggio di azione operativo dei singoli piccoli comuni». Per esempio, continuano i due amministratori, si potrebbe «immaginare un intervento organico di pulizia delle fasce di rispetto sulle strade che attraversano i nostri boschi per rendere più trasparente l’accesso e scoraggiare, indirettamente, la permanenza dedita ad attività illecite».
A fianco di una azione repressiva di competenza esclusiva delle forze dell’ordine, i due sindaci auspicano un progressivo recupero della rete sentieristica attraverso piste ciclopedonali, interventi di pulizia e uso comunitario dei boschi, azioni di recupero e valorizzazione del territorio, affinché i boschi possano tornare ad essere un luogo vissuto da chi risiede sul territorio e da chi lo sceglie come meta turistica e, soprattutto, sicuro.
Questo è ciò che possiamo fare. Non da soli, insieme.
22 gennaio 2025, Gabriele K.