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Il San Martino era la montagna più bella della valle: di qua guardava Bedero, di là guardava il lago. Nessuno sapeva che sarebbe diventata teatro di una battaglia sanguinosa.
L’estate finiva, il bel tempo durava, il paese era il più bello della valle e brillava dei suoi mille colori. Prospero, aspettando l’inizio della scuola, giocava nelle strade e aiutava il papà nei suoi lavori. Imparava a raccogliere la legna, a intagliare il legno, ad andare a caccia.
Poteva essere un momento molto felice, invece no. Tutti in famiglia e in paese erano demoralizzati per il perdurare della guerra. I giovani del paese erano partiti per il fronte, anche il suo fratello maggiore Ubaldo. Mamma e papà erano in pena.
Una sera all’osteria il papà venne a sapere una notizia incredibile: il capo del governo italiano aveva firmato la resa, e poi era scappato al riparo. In un primo momento, si pensò che fosse una buona notizia: la guerra finiva, valeva la pena di brindare!
Ma, pensandoci meglio, si diffuse l’angoscia. Nessuno sapeva cosa ne sarebbe stato di tutti i soldati che stavano guerreggiando sui vari fronti di guerra. Sarebbero stati fatti prigionieri? Sarebbero riusciti a scappare a casa?
Invece di gioire per la fine della guerra, nelle famiglie e nell’intero paese si diffuse ulteriore preoccupazione.
All’inizio dell’autunno, col favore delle tenebre, per i selvaggi sentieri della Martica, Ubaldo riuscì a raggiungere casa. Raccontò che la sua compagnia era allo sbando, che gli ufficiali non avevano ricevuto ordini e non sapevano cosa fare. Così i soldati avevano gettato le divise ed erano scappati a casa. Ma la situazione era molto pericolosa: con la resa, i tedeschi da alleati si erano trasformati in nemici, stavano prendendo posizione dappertutto e facendo prigionieri i soldati italiani. Anche qui nella nostra valle.
La mamma nascose Ubaldo su nel solaio e tutti in famiglia si impegnarono a condurre la stessa vita di prima, dissimulando il loro terrore. La pena per la diserzione era la fucilazione.
Un giorno il babbo scese nella valle con un sacco di noci, per macinarle al mulino di Rancio.
In valle apprese la notizia, che si stava diffondendo di bocca in bocca: sul San Martino si stava organizzando la lotta partigiana.
Giunto a casa, il papà era esitante nel raccontare quanto aveva appreso, aveva paura per Ubaldo e avrebbe preferito che il suo figliolo continuasse a stare nascosto e protetto. Ma Ubaldo era un giovane impetuoso e coraggioso e, appena seppe la notizia, decise di fare il partigiano.
Andò a salutare la sua ragazza, Orsina la bella. Lei lo pregava di non mettersi in pericolo, ma lui partì risoluto per la montagna.
Prospero si sentiva fremere, anche lui voleva partecipare alla lotta partigiana, pensava che avrebbe potuto aiutare, magari portando avanti e indietro i messaggi tra i vari gruppi nascosti sul San Martino. Il papà gli disse che proprio non se ne parlava, lo sgridò e lo minacciò di dargli una manica di botte. Il bambino si sentì offeso e scappò. Si nascose nel bosco, scese nella valle e si inerpicò sull’altro versante, ma nella corsa a perdifiato, a un certo punto rovinò in una scarpata e si ferì. Fu il babbo, partito alla sua ricerca, che seguendone le tracce, da esperto cacciatore quale era, riuscì a raggiungerlo, a salvarlo e a riportarlo a casa. Lo prese sulle spalle con tanta delicatezza e non gli fece più nemmeno un rimprovero.
Sul San Martino cominciava a fare freddo, i partigiani si organizzavano per dare battaglia.
Un giorno, Ubaldo e i suoi compagni erano in perlustrazione. Sentirono il rumore di uno scontro a fuoco e si misero a correre, per intervenire in aiuto dei loro compagni. Mentre il combattimento infuriava, si sentì rumore di aerei in avvicinamento. Inutile cercare riparo nel bosco, quando iniziò dal cielo il più feroce bombardamento che Ubaldo avesse mai visto! Vivere o morire era un gioco del caso. Molti furono i compagni ammazzati. Altri, fatti prigionieri, subirono la stessa sorte il giorno dopo.
Feriti e disperati, Ubaldo e i compagni sopravvissuti si riunirono al calare delle tenebre e, riparatisi in un fosso e medicate alla meglio le ferite, attesero la notte. Con una lunga marcia notturna, per monti e per valli, al limite dello sfinimento aiutandosi l’un l’altro, raggiunsero il confine svizzero e lì si ripararono al sicuro.
Ubaldo si nascose un mese e un giorno. Camminava nel paesaggio innevato e rifletteva su cosa fosse meglio fare. Tra i suoi compagni si discuteva se e quando fosse meglio ritornare alla lotta. Si discuteva animatamente. Finchè la decisione fu unanime, e tutti insieme intrapresero il cammino del ritorno. Di nuovo superarono il confine. In Italia, ripararono ancora in montagna, di nuovo a guerreggiare contro l’occupante tedesco. In Valdossola questa volta. Passarono molti mesi e molti altri compagni ancora persero la vita. A casa ancora ci si disperava, perché non si avevano notizie.
Ma venne infine una primavera radiosa. In aprile i tedeschi cominciarono la loro fuga oltreconfine, lasciando dietro lutti e desolazione: i partigiani avevano vinto, con l’aiuto delle truppe inglesi e americane.
Questa volta Ubaldo tornò con il sorriso, corse a casa di Orsina la bella, insieme si abbracciarono e danzarono. La festa durò fino a tardi nell’osteria del paese.
Finalmente la mamma sorrideva e ritornava la normalità.
Quella sera, augurandogli la buona notte, la mamma gli disse che non doveva preoccuparsi più: la guerra era davvero finita e presto tutti i ragazzi di Bedero sarebbero tornati a casa.
Il San Martino era la montagna più bella della valle: di qua guardava Bedero, di là guardava il lago. I segni di una battaglia sanguinosa presto sarebbero scomparsi,
Rimasero nella memoria di Prospero, che anche da vecchio amava raccontare al suo nipotino la storia dei partigiani del San Martino.
Questa è una storia quasi vera. I personaggi sono di fantasia, ma i fatti raccontati sono reali, testimoniati dalle persone che vissero quegli anni e quelle vicende
25 aprile 2025, Laura V.
Il 25 aprile 2025 mio e di Gabriele, sulle tracce di Ubaldo e Prospero: vedi qui
Nel mondo degli uccelli può succedere…
Nel pollaio c’era gran fermento. Le galline chiocciavano tra loro, qualcuna ascoltava becchettando in giro e facendo finta di niente.
Il re del pollaio era di pessimo umore, da una settimana non metteva il becco fuori dall’uscio.
Non si capacitava dell’onta subita. Si sentiva abbandonato dalle sue galline. Stupide, vili, ingrate!
Lui era abituato a farsi rispettare. Ogni suo desiderio, un ordine! E le galline lo assecondavano senza discutere. Gli davano sempre ragione, anche quando aveva torto. Le galline sono fatte così, abitudinarie e conformiste.
Ma adesso che affrontava il suo momento difficile, nessuna gli dava conforto. Ottuse, traditrici, false!
Era andata così.
Il re teneva molto al suo aspetto. Indossava abitualmente un abito piumato tutto colorato, dai riflessi splendidi, gonfio attorno al collo, arcuato nella lunga coda folta e svettante. Con addosso il suo meraviglioso piumaggio, inclinando la sua larga cresta rossa come un cappello da cow boy, tendeva il becco al vento e scuoteva i bargigli con aria bellicosa da vero prode, quale si sentiva. Un figurone!
Ecco che si era sparsa la voce che dei pappagalli forestieri offrivano i loro servizi per realizzare piumaggi, i più belli di sempre. Il re li chiamò al suo cospetto ed essi volarono giù nel pollaio. Si presentarono con aria solenne e spiegarono le qualità rare e preziose dei regali mantelli piumati che erano in grado di progettare e realizzare in poche ore. Non solo i colori e il disegno erano straordinariamente belli, ma quelle vesti avevano lo strano potere di diventare invisibili agli stolti e agli incapaci.
“Ah, - pensò il re - si tratta di una qualità straordinaria, che mi permetterà di capire chi, attorno a me, è in gamba e di chi, invece, non posso fidarmi.”
Ma quando i pappagalli iniziarono il lavoro, tutti indaffarati davanti ai lui, con aghi, forbici, spilli e fili colorati, il re strabuzzò gli occhi: queste penne, queste piume meravigliose che gli presentavano e gli descrivevano con parole ricercate, lui non riusciva a vederle! Gli sembrava che i pappagalli puntassero spilli nell’aria, cucissero spifferi di vento e tagliassero il loro stesso alito… che fosse lui stesso stolto e incapace? Gli venne il dubbio, ma subito decise che nessuno lo doveva sospettare.
Così si prodigava in ordini, commenti, critiche.
“Un po’ più lungo qui”
E le galline in coro: “Co co, più lungo, più lungo, sì”
“Stretto qui mi sta molto bene”
E le galline: “Co co, come stringe, come dona, come calza bene!”
“No, proprio no. Se tira, vuol dire che è da rifare”
E le galline: “Co co, oh come tira, oh come tira…”
La verità è che né lui né le galline vedevano un bel niente, ma nessuno voleva darlo a vedere, per paura di essere riconosciuto come stolto o incapace.
Finalmente i pappagalli dissero che il piumaggio era finito e che calzava a pennello. Aiutarono il re ad indossarlo, prodigandosi nel lisciare il manto e nell’aggiustarne la caduta. Poi riscossero il loro compenso e, dopo cerimoniosi saluti, volarono via.
Mentre il re si pavoneggiava nel pollaio, impettito e vanitoso, ecco un passerotto posarsi sulla recinzione, guardare giù e commentare:
“Ma il re è nudo!”
“Co co, in effetti…”
“Co co, forse…”
“Co co, non sarà che i pappagalli ci hanno ingannato?”
Il re rabbrividì all’aria fredda del tramonto e si rese conto che non aveva addosso niente!
Dopo una settimana, il re del pollaio non aveva ancora smaltito lo smacco. Non metteva più il becco fuori, mentre le galline chiocciavano, qualcuna becchettava e nessuna si sognava di dargli conforto. Che ingrate!
La storia è liberamente ispirata dalla famosa fiaba di Andersen.
Il pollaio nel quale è ambientata costituisce, qui a Bedero, l'attrazione principale per i nipotini milanesi: si trova nei pressi del lavatoio, di là dalla via XX settembre.
I bimbi dell'asilo, impietositi dalle sue disavventure, hanno cercato di consolare il re, disegnandogli un bel vestito colorato.
Oggi, a pranzo, saranno servite loro proprio le uova di quel pollaio!
14 febbraio 2025, Laura V.
Scegli il finale
Nella piazza di Bedero, da un mese c’era il presepe. Tutte le notti, a mezzanotte, le statuine si animavano. Facevano un giro su se stesse, si stiracchiavano e iniziavano a chiacchierare.
Sulle prime erano andate tutte d’accordo, ciascuna facendo la sua parte. Ma col passare dei giorni e delle settimane la fatica si faceva sentire ed erano iniziate le discussioni.
- Tocca sempre a me - diceva la lavandaia a suo marito strizzando i panni. - Ho le mani gelate, non le sento più. Invece di continuare a portarmi acqua, faresti meglio a portare i panni in lavanderia.
- Ma senti questa - diceva il portatore d’acqua, suo marito. - L’anno che viene mettiamo una lavatrice nella capanna e amen. Ma cos’hai nella zucca?
- Ma ti levi di torno con quei pesci? Non hanno mica un buon odore, sai?
- E tu credi di avere un buon odore? Chi ti credi di essere? - Rispondeva il pescatore alla pastora.
Da quando era nato il bambinello, il bue e l’asino erano offesi con il cammello:
- Brutto, gobbo e presuntuoso. Venisse un po’ anche lui ad alitare nella stalla, invece di andarsene avanti e indietro a farsi bello…
- Cafoni - pensava il cammello - non hanno mai messo il naso fuori dalla stalla e vogliono insegnare a me come si sta al mondo!
- Smetti con quel corno, che svegli il bambino.
- Tieni alla larga le tue pecore, che sporcano per terra.
Maria guardò sconfortata Giuseppe:
- Ma dove siamo capitati! È una gabbia di matti
Giuseppe rispose:
- Che vuoi farci, tutto il mondo è paese.
Il bambinello allargava le braccia e pensava:
- Oh, misericordia! Oh, santa pace!
Una notte comparve una stella lucente, con una coda luminosa.
Tutti guardarono in cielo e capirono che qualcosa stava per accadere.
Tutti guardarono a oriente e videro che si stavano avvicinandosi i tre Re magi. Incedevano con maestà, sontuosamente vestiti, reggendo i loro doni preziosi.
Primo finale
I Re magi avevano ascoltato le liti delle statuine e intervennero subito a sedarle. Non volevano rovinarsi la festa. Parlò per primo Gaspare:
- Ho con me molto oro. Mettetevi infila: donerò a ciascuno di voi, figurante o animale che sia, tre monete d’oro, per festeggiare. Questa sera nessuno dovrà lavorare.
E Melchiorre aggiunse:
- Io ho portato la birra. Ci sarà birra per tutti, stasera.
E così, d’amore e d’accordo, si bevve, si cantò e si ballò per tutta la notte.
Baldassarre era perplesso:
- Ma Melchiorre doveva portare la mirra, non la birra...
Il bambinello allargava le braccia:
- Oh, misericordia! Oh, santa pace!
Secondo finale
Sentendo i mugugni, Gaspare si spazientì.
- Forza: persone di qua, animali di là. Tutti dovete contribuire a darci una degna accoglienza, perché noi siamo persone importanti.
Poi fu Melchiorre a parlare:
- Lavandaia, eccoti i nostri panni sporchi del viaggio. Li vogliamo per domani puliti e profumati. E tuo marito, portatore d’acqua, provveda a rifornirti a dovere. Pesci vecchi non ne vogliamo. Pescatore, vai a pesca e procurane di nuovi. Voi pastori, macellate due agnelli. Tu suonatore di corno, taci una buona volta, procura la legna e prepara la griglia
Baldassarre si rivolse agli animali:
- Zitti, non fiatate. Il primo che sbuffa lo metto direttamente sulla griglia.
Le statuine abbassarono le orecchie e ubbidirono.
Quella notte, nella capanna, i magi si riposarono e mangiarono molto bene.
Il bambinello allargava le braccia e pensava:
- Oh, misericordia! Oh, santa pace!
Terzo finale
I tre Re magi erano persone sagge e sapienti, capivano le ragioni.
Gaspare suggerì:
- Accendiamo un grande fuoco e riuniamoci tutt’attorno. Interrompiamo i nostri lavori e diamoci il tempo per raccontarci l’un l’altro quello che ci fa tribolare e quello che ci fa felici.
Melchiorre ascoltò compassionevole le rimostranze, dispensò consigli e attenzioni. Poi intrattenne gli uditori con il racconto del loro viaggio, mentre carezzava gli animali accoccolati ai suoi piedi.
Baldassarre, che sapeva cucinare con perizia e passione, preparò dolci per tutti. Sul fuoco gettava grani d’incenso, e il profumo esotico evocava i luoghi diversi e lontani.
Fu una notte bellissima, tutti si consolarono e viaggiarono con l’immaginazione in lungo e in largo, mentre la stella brillava lassù.
Il bambinello allargava le braccia e pensava:
- Pace in terra agli uomini di buona volontà.
Qual finale scegli?
Se nessuno dei tre ti è piaciuto... be', inventane un altro tu.
6 gennaio 2025, la befana